Storia di Anna Arecchia “una figlia della Madonna” che è riuscita a far cambiare una legge dello Stato: ora i figli abbandonati hanno il diritto di contattare i genitori biologici

LE STORIE DI CASERTACE. MARCIANISE. Anna Arecchia, “una figlia della Madonna” che è riuscita a far cambiare una legge dello Stato: ora i figli abbandonati hanno il diritto di contattare i genitori biologici. Il sacchetto di stoffa, le medagliette e l’immaginetta della Vergine spezzata in due
E’ un racconto bellissimo, quello di una donna che ha vissuto anni terribili, attraversando tragiche vicissitudini. Da presidente del Comitato Nazionale per il Diritto alla Conoscenza delle Origini Biologiche, è riuscita a imprimere una svolta storica restituendo un diritto per il quale, come spesso capita, l’Italia era stata sanzionata dal Tribunale Europeo

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MARCIANISE – Ci incontriamo in piazza Umberto I, ai piedi di quel Comune nel quale, mi racconta, non torna dallo scorso marzo, cioè dal termine della sua esperienza da assessore alla Pubblica Istruzione.
Saluta i vigilanti e qualche ex collega, poi entriamo in un bar dove chiacchierare tranquille.
Fuori, le voci e i rumori di un pomeriggio di inizio estate. Dentro, su un piccolo tavolino, un taccuino sul quale prendere qualche appunto, una cartellina blu contenente documenti vecchi e preziosi e un piccolo sacchetto di stoffa ingiallita dal tempo. Un oggetto apparentemente insignificante. Un orpello che invece nasconde, dentro il minimo spazio che occupa, l’essenza di una vicenda umana di straordinaria intensità. Quel sacchetto è un condensato di emozioni, il distillato di tante vite storte che non sono riuscite a incrociarsi. Ma a questo bisogna arrivare con calma.
Quello di Anna Arecchia è un nome molto conosciuto a Marcianise: 56 anni, tre figli, un lavoro da professoressa di matematica presso il Liceo Scientifico “Quercia”, una grande passione per la politica e una vita piena.
Di dolore, di interrogativi. Ma soprattutto di amore, anche insperato, e di soddisfazioni.
Perchè possa raccontarvi del suo successo più grande, arrivato pochissimi giorni fa e perciò ancora fresco di emozione, bisogna fare un salto indietro nel tempo e partire dal principio di questa vita così piena, che Anna Arecchia mi ha raccontato con un trasporto e una disponibilità tali che quel caffè per il quale ci eravamo sedute al bar, ci siamo ricordate di ordinarlo solo due ore dopo.
ERO UNA FIGLIA DI MARIA“. Anna Arecchia nacque all’ospedale della Santissima Annunziata di Napoli. Sua madre Antonietta, all’epoca ventunenne, l’aveva concepita con un uomo sposato, al quale non riferì di essere rimasta incinta. Andò via dal paese, partorì a Napoli, la allattò per 8 giorni, poi la lasciò.
Anna rimase nel brefotrofio per sei mesi, poi fu adottata da una famiglia di Marcianise: lei insegnante, lui carabiniere: “Con loro sono stata felice, ma mi hanno lasciata presto. Papà è morto che avevo 16 anni“.
Come ho scoperto di essere stata adottata? Me lo disse la lattaia” – mi racconta.
Avevo 5 o 6 anni, la mia mamma mi mandava a prendere il latte. Quella donna mi disse: Quanto sei carina, non sembri una figlia della Madonna! Non avevo idea di cosa significasse, ma ricordo bene la sensazione che mi mise addosso quella frase. Non chiesi nulla a mia madre, ma gli anni a venire furono costellati di piccoli segni. Intorno ai 15 anni capii da sola: cercavo nei miei genitori, nei miei familiari, una somiglianza che non trovavo. Ma non ebbi mai il coraggio di dirglielo o di chiedere conferma, e mio padre morì senza sapere che io lo avevo capito“.
Ma agli altri sì, lo dicevo – continua la Arecchia – Ne parlavo con i miei cugini, con i compagni di scuola, lo confidavo subito quando facevo una nuova conoscenza, quasi scherzandoci su. Era il mio modo di esorcizzarlo. Mia madre trovò il coraggio di parlarne solo poco prima che mi sposassi. Mi disse: lo so che lo sai. Poi mi diede alcuni documenti che, però, non avevano grande valore, perchè non mi dicevano nulla sulla mia identità“.
“SCOPRII DA SOLA CHI ERO”. A 20 anni, quando ormai quella di essere stata adottata era quasi una certezza, Anna cominciò a frequentare l’università. Seguiva le lezioni in via Mezzocannone e passava davanti all’ospedale dell’Annunziata tutti i giorni. Sapeva di essere nata lì. E quel posto la attraeva incredibilmente. Un giorno decise di entrare.
Ottenne il certificato integrale di nascita di lì a poco, dopo averne fatta richiesta al Tribunale di Napoli. La lettura di quel documento, la cui copia integrale custodisce in quella cartellina blu che ha portato al nostro appuntamento, le diede la conferma che cercava.
Il mio cognome su quel documento non era Arecchia, ma Dive. Mi crollò il mondo addosso“.
Quel documento le confermò il sospetto di essere stata adottata e le inflisse un dolore nuovo: quello di sapere che sua madre non l’aveva riconosciuta e “non consentiva – così era scritto testualmente nel certificato – di essere nominata“.
Per me fu un colpo durissimo: quella frase mi fece pensare che mi aveva abbandonata e che non voleva più saperne nulla di me. Solo anni dopo, confrontandomi con persone dalla storia simile alla mia, ho scoperto che, in casi come quello, si trattava di una formula rituale“.
LA TRAGICA MORTE DEL MARITO CARABINIERE. Il 5 febbraio del 1995 suo marito muore in un tragico incidente stradale. Rino Pio Golino, maresciallo dei Carabinieri, viaggiava insieme a due colleghi lungo la Pontina, di ritorno dalla capitale, dopo avere eseguito un’importante operazione antifalsari, che si era conclusa con il sequestro di 20 milioni di dollari in banconote false di vario taglio e il fermo di alcune persone. Il maresciallo Golino, 34 anni, stava anche per laurearsi in Sociologia a “La Sapienza”. A lui, nel 2013, alla presenza del Ministro della Difesa Roberta Pinotti, è stata intitolata la strada sulla quale insiste la nuova caserma dei Carabinieri di Marcianise.
I PRIMI FORUM DI INTERNET. Nei primi anni 2000, agli albori di internet, Anna Arecchia comincia a fare qualche ricerca. Trova sulla rete alcuni forum sui quali figli non riconosciuti alla nascita e poi adottati si riuniscono, parlano delle loro storie, si supportano, e decide di iscriversi. Lì si confronterà con molte persone, poi verranno gli incontri, i raduni. Presto stringerà amicizie solide, che avranno un ruolo fondamentale per l’ottenimento del suo successo più grande.
LA MALATTIA. Ma la strada di Anna non è mai completamente in discesa: dopo la morte del marito, infatti, forse anche a causa di un repentino e considerevole calo delle difese immunitarie, si ammala. Le viene diagnosticata una rara patologia, il linfoma di Hodgkin, che si palesa ad uno stadio già molto avanzato.
La chemioterapia non sortisce grande effetto, i medici le comunicano che l’unica strada percorribile è quella di un trapianto di midollo da un consanguineo compatibile.
E’ in quel momento che, per la prima volta, Anna avverte l’indispensabilità, la necessità funzionale alla sua stessa sopravvivenza, di conoscere i suoi genitori biologici. E’ la fine del 2005.
Presenta richiesta al Tribunale di Napoli, corredandola di un referto nel quale, senza mezzi termini, il medico descrive la situazione gravissima, la malattia ad alto rischio di malignità e sancisce che il trapianto è quanto mai necessario.
Nel febbraio 2006 i giudici respingono la richiesta in nome della legge vigente in materia. Lo stato di salute di Anna è tanto critico, che, a quella notizia, i medici dichiarano le sue condizioni “scadute” e la dimettono.
Anna Arecchia, con tre figli ancora piccoli, torna a casa, dove riceve l’estrema unzione.
Poi accade l’inaspettato: “Mi ripresi – racconta quasi ancora incredula – cominciai a stare meglio. I medici non riuscirono a dare una spiegazione scientifica alla mia guarigione”.
LA NASCITA DEL COMITATO. Fu quell’esperienza a darle la motivazione decisiva per provare a cambiare qualcosa. Aveva visto la morte in faccia, aveva rischiato di lasciare soli i suoi figli. Nonostante questo, i giudici le avevano negato un’informazione che poteva salvarle la vita, ovvero l’identità della madre biologica, in nome di una legge, completamente sbilanciata a favore del genitore naturale che aveva deciso di non riconoscere il proprio figlio. Una legge che ora doveva tentare di far modificare.
Così fonda, insieme a Emilia Rosati e Virginia Volpe, il Comitato Nazionale per il Diritto alla Conoscenza delle Origini Biologiche, del quale diventa presidentessa.
Non vogliamo lucrare in alcun modo – mi spiega – per questo non facciamo alcun tesseramento. Però, stimiamo di essere più di 4mila”.
Abbiamo intrapreso una battaglia ardua, partendo praticamente da zero. Cambiare una legge non è certo cosa semplice, a maggior ragione quando mai nessuno prima di te ci ha provato. Ma noi avevamo la determinazione giusta e non ci siamo arresi mai, neanche di fronte ai fallimenti iniziali“.
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I PRIMI PASSI. “Non voglio essere fintamente modesta – aggiunge – mi attribuisco tutto il merito del risultato politico ottenuto. La politica mi aveva sempre appassionata e avevo già qualche conoscenza. Il primo a credere nella mia battaglia è stato Domenico Zinzi, all’epoca deputato. Fu lui, nel 2008, a presentare la prima proposta di legge, appoggiato qualche mese dopo da Carlo Sarro“.
La legge da anni vigente in materia, cioè quella che ora si cerca di modificare, prevede che i figli non riconosciuti alla nascita possano accedere alle informazioni sull’identità della madre biologica, solo dopo 100 anni dalla nascita. Il che significa, in buona sostanza, impedirglielo.
Conosco una sola persona che ci è riuscita – racconta la Arecchia – Aveva 103 anni, lo ha fatto per pura soddisfazione“.
Il testo di legge promosso dal Comitato, invece, cambia sostanzialmente le cose, contemplando l’opportunità che già appena maggiorenni i figli adottivi non riconosciuti alla nascita possano avere la possibilità di identificare ed, eventualmente, conoscere i propri genitori biologici.
La stessa Corte Europea sui Diritti dell’Uomo, con una sentenza depositata il 25 settembre 2012, aveva condannato l’Italia ritenendo che il nostro paese violasse l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’anno dopo, la Consulta, con sentenza numero 278, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 28, comma 7 della legge 184 del 1983 su affido e adozione, nella parte in cui questo non prevede la possibilità per il giudice dei minori di interpellare la madre biologica su richiesta del figlio, al fine di ottenere l’eventuale revoca dell’anonimato.
L’APPROVAZIONE ALLA CAMERA. Sette anni di lotte e di porte sbattute in faccia. Sette anni in cui i no ricevuti, dopo ampollosi preamboli, non hanno mai spento, ma solo alimentato, le speranze di riuscire a trovare uno spiraglio nel quale insinuarsi per approdare al risultato sperato.
E così è stato. Pochi giorni fa, il 18 giugno, la prima vittoria, forse l’ostacolo più difficile superato. Fiati sospesi, cuori in gola: il nuovo disegno di legge è al voto della Camera.
Ero a casa con i miei figli, sintonizzata con Montecitorio. Al telefono un’amica. L’emozione era alle stelle. Quando Sel e Lega hanno preso la parola, facendo dichiarazione di voto contrario, abbiamo temuto per il peggio. E invece, quando il tabellone si è riempito di puntini verdi, che erano molto più numerosi di quelli rossi, abbiamo pianto dalla gioia“.
La Camera ha approvato il Ddl con 307 voti a favore, 22 contrari e 38 astenuti, come scritto prima, lo scorso 18 giugno. Il testo unificato di legge è stato trasmesso al Senato già il giorno dopo. Ora si attende che Palazzo Madama lo esamini e si pronunci. Ma tutti sono fiduciosi.
IL DISEGNO DI LEGGE. Il testo approvato contempla otto diverse proposte, partorite da un impegnativo lavoro fatto in Commissione Giustizia e durato un anno e mezzo. La legge, formulata nella stesura iniziale da Luisa Bossa del Pd, ingloba le tesi unificate di Michela Marzano, Anna Rossomando, Valeria Valente, Micaela Campana, Antimo Cesaro, Carlo Sarro, Milena Santerini, Michela Brambilla, ed è il risultato di lunghe trattative, mediazioni e compromessi tra il diritto di sapere di un figlio e quello della madre naturale di essere dimenticata.
Anche i figli non riconosciuti alla nascita dalla madre, che ha scelto di restare anonima, potranno chiedere al tribunale dei minorenni, una volta raggiunta la maggiore età, le informazioni sui propri genitori biologici. Secondo la presidentessa della Commissione Giustizia di Montecitorio, Donatella Ferranti, ciò colma un vuoto “legislativo, conciliando due diritti fondamentali: quello della madre biologica di scegliere di mantenere la segretezza e quello del figlio di sapere chi lo ha generato”. La legge regola il diritto di interpello a favore del figlio per verificare se la madre intenda mantenere l’anonimato e interviene anche sulle norme che regolano l’adozione.

L’accesso alle informazioni sull’origine biologica, che non legittima azioni di stato, né dà diritto a rivendicazioni di natura patrimoniale o successoria, è consentito sia nei confronti della madre, che abbia successivamente revocato la volontà di anonimato, sia nei confronti della madre deceduta. Il procedimento, una volta raggiunta la maggiore età, può essere avviato dal figlio adottato e dal figlio non riconosciuto alla nascita, che abbia raggiunto la maggiore età, “in assenza di revoca dell’anonimato da parte della madre”; dai genitori adottivi, “legittimati per gravi e comprovati motivi”; dai responsabili di una struttura sanitaria, “in caso di necessità e urgenza e qualora vi sia grave pericolo per la salute del minore”.

In tribunale, con modalità che assicurino la massima riservatezza, e con il vincolo del segreto per quanti prendano parte al procedimento, si ci accerta della volontà o meno della madre di rimanere anonima. Cambia anche il regolamento sullo stato civile in relazione alle informazioni da rendere alla madre che dichiara di volere restare anonima. In particolare, la madre dovrà essere informata, anche in forma scritta, degli effetti giuridici a suo carico e a carico del figlio; della dichiarazione di non volere essere nominata; della facoltà di revocare, senza limiti di tempo, tale dichiarazione; della possibilità di confermare, trascorsi 18 anni dalla nascita, la volontà di anonimato; della facoltà di interpello del figlio.

È prevista, infine, una disciplina per i casi di parti anonimi precedenti all’entrata in vigore della legge: entro dodici mesi, la madre, che ha partorito in anonimato prima dell’entrata in vigore della riforma, può confermare la propria volontà al tribunale dei minorenni, con modalità che garantiscano la massima riservatezza. Qualora la madre confermi la propria volontà di anonimato, il tribunale per i minorenni, se richiesto, autorizza l’accesso alle sole informazioni sanitarie. A tal fine, saranno stabilite modalità di svolgimento di una campagna informativa. Il governo, decorsi tre anni, dovrà trasmettere al Parlamento i dati sull’attuazione della legge (fonte: Avvenire.it).

LO SCIACALLAGGIO SULLE ORIGINI BIOLOGICHE. Approvare definitivamente questa legge significherebbe andare a regolamentare anche un mondo sotterraneo che definire sciacallaggio sulle origini biologiche non è una esagerazione.
“In questi anni – torna a dire Anna Arecchia – ho visto di tutto: pagine di registro strappate, favoritismi, nomi venduti, persone disposte a tutto pur di trovare un appiglio, qualcosa che le facesse sperare, truffate da gente senza scrupoli“.
“ALLA FINE HO TROVATO MIA MADRE”. “Io sono stata fortunata, perchè dopo tanto cercare, ho trovato la mia madre biologica. Ma lei non c’era già più, era morta cinque anni prima. Ho scoperto che era andata in Canada subito sopo la mia adozione, e che durante quei sei mesi era venuta a trovarmi spesso. Di domenica, insieme a sua madre, prendeva la corriera e andava a Napoli. Credo che avesse voglia di riprendermi con sè, perchè ho saputo che al ritorno da queste visite, parlava sempre dei bambini dell’Annunziata, diceva che le facevano tenerezza e che avrebbe voluto adottarne uno. Forse stava preparando il terreno per portarmi al paese, ma le cose sono andate diversamente. In Canada, ha partorito altri tre figli“.
Che ora sono i suoi fratelli: “Non ci siamo ancora incontrati, ma ci scriviamo sempre, ci spediamo le foto degli eventi importanti”.
Poi ho trovato anche il mio padre biologico – svela ancora – e con lui altri cinque fratelli. Mi hanno accolta benissimo. Andavo a trovarlo ogni due settimane: mangiavamo insieme, lui si emozionava ogni volta. E’ morto l’anno scorso, io c’ero. Con i miei fratelli ho instaurato un rapporto bellissimo“.
LA CHIUSURA DEL CERCHIO. “Ho chiuso il cerchio, ora sono serena. Sapere chi sono mi ha regalato una seconda vita. Mi ci sono voluti anni, ma sono giunta alla conclusione che la mia madre biologica, verso la quale non ho mai nutrito rancore, non voleva abbandonarmi. L’ho capito quando ho partorito la mia prima figlia: il solo pensiero di staccarmi da quell’esserino così intimamente mio mi ha fatto comprendere il dolore straziante che deve aver provato a lasciarmi. E poi è stata una scoperta, fatta quasi per caso, a darmi la conferma che mia madre mi pensava e nutriva in cuor suo la speranza di rincontrarmi“.
QUEL SACCHETTO DI STOFFA INGIALLITO CON LA MEZZA IMMAGINETTA DELLA MADONNA. Ed ecco la rivelazione più bella, più emozionante, più commovente, quella sul sacchetto che abbiamo menzionato nelle prime righe di questo articolo. “Quando mia madre, quella che mi ha cresciuta, morì, misi alcuni dei suoi effetti personali in una scatola. Ho fatto diversi traslochi nella mia vita, e ogni volta ho portato la scatola con me. Quel sacchetto di stoffa lo avevo visto decine di volte, ma mai gli avevo prestato particolare attenzione. Poi una mattina mi sono svegliata con un pensiero fisso e sono andata a cercarlo. Non so dire perchè non lo avevo mai aperto prima, ma lo feci quella mattina. Ciò che vi trovai all’interno mi diede la risposta che cercavo“.
Accorta, con mani tremanti, Anna Arecchia ha aperto quel sacchetto di stoffa ingiallita anche per me: dentro, due medagline e il ritaglio di un’immaginetta della Vergine Maria.
Sai che cosa significa la mezza immaginetta? Le madri che erano costrette a lasciare i propri figli usavano dividerne una. Tenevano una parte per sè, l’altra la lasciavano al neonato. Se un giorno si fossero rincontrati, la prova del combiaciamento delle due parti avrebbe confermato che madre e figlio si erano ritrovati“.
Maria Concetta Varletta

PUBBLICATO IL: 29 giugno 2015 ALLE ORE 20:30

2 commenti su “Storia di Anna Arecchia “una figlia della Madonna” che è riuscita a far cambiare una legge dello Stato: ora i figli abbandonati hanno il diritto di contattare i genitori biologici”

  1. Ho letto la storia della Sig.ra Anna e non posso che spendere parole di gratitudine e di ammirazione per lei. Io ho scoperto solo tre giorni fa di essere stato adottato e sono ancora nella fase penso molto confusa di questa situazione. Ho 47 anni quasi 48 forse perché a dire il vero non so più neanche se il 3 agosto è davvero il giorno in cui sono nato e sicuramente il nome Daniele che porto non è il mio reale visto che forse alla nascita mi chiamavo Domenico. Non so neanche se questo è anche il mio nome originario o datomi da qualche balia o prete o suora all’Annunziata di Napoli o in qualche altro orfanotrofio della città attivo nel 1971. Mia madre adottiva mi ha detto che i miei genitori erano morti quando avevo due mesi in un incidente stradale e che successivamente nessuno è venuto per due mesi a reclamarmi a cercarmi della loro famiglia e lei invece mi ha subito adottato. Non so se mi abbia detto la verità. La conferma che sono stato adottato l’ho comunque ricevuta due giorni fa da una lontana zia che piangendo mi ha confermato tutto. Al momento ripeto sono molto scosso e seppur vero che ho un grande desiderio che io abbia una madre naturale che magari nel corso degli anni mi abbia cercato o almeno pensato e desiderato di vedermi al tempo stesso non so se cercarla. Penso che sarebbe devastante se la trovassi e la mia ricerca fosse ricambiata con fastidio e intolleranza. Comunque chiedo scusa se mi sono divagato. Ritornando alla Sig.ra Anna le invio un caro saluto e lo stesso affettuoso saluto rivolgo a tutti i bambini che per i più svariati motivi sono stati lasciati alla loro sorte senza avere una colpa.

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